Bubca Records Special
La Bubca Records è un' etichetta che non è un' etichetta perché è, di per sé, contro le etichette in genere e non nel senso di una persona o di un collettivo che si impegnano nel far uscire materiale fonografico slegato dal mondo del profitto, ma nel senso del sentirsi slegati dai vari steccati mentali che, in genere, impediscono la fruizione della musica al di là del proprio recinto ideale di ascolti dedicati. Chiaro?
La Bubca non è un' etichetta perché, semplicemente, non può esserlo: per eliminare il preconcetto tocca attaccare il termine in tutte le sue possibili declinazioni e applicazioni; quindi non è etichetta per un senso di libertà creativa e di estensione indiscriminata del suo percorso ad altre realtà smaliziate come lei. Abbattere i confini non pensandoli e non concependoli, questo è.
In questo mese di dicembre, pieno come tutti gli altri di alti e bassi, scrivo e scrivendo mi imbatto nei due nuovi dischi di Bubca. Li ascolto camminando, prendendo un caffè o mentre leggo; li faccio entrare nella mia vita associandoli ai suoi momenti più morbidi e vivibili. L' unico modo che credo essere adatto a dischi come questi
Trapcoustic "Nebula"
Ogni volta che un mantello di synth accompagna una voce intenta a parlare di attimi, secondi fuggenti e altri particolari non visibili a occhio nudo, subito verrebbe da pensare a Battiato Franco ma, in questo caso almeno, sarebbe un' ingiustizia senza eguali: direi più volentieri che qui, quello che domina, è una psichedelia che ipnotizza i sensi e li distende, un modo piuttosto efficace di farti scordare la routine, la noia e la fatica. Non c' è Tao né meditazione qui, ma un' isola di quiete e riflessione che, da un punto di vista concettuale, rimane comunque legata al mare da cui è circondata: la vita di tutti i giorni, con le sue scadenze, le sue sconfitte, le sue rivalse, i suoi quesiti irrisolti.
Trapcoustic cattura tutto questo per fermarlo in un suono, rielaborarlo sfrondandone gli aspetti più indigesti come quelli più saporiti, lima il tutto e lo riduce all' osso o, meglio detto, alla sua essenza; procedimento, questo, che dovremmo applicare tutti, suonatori e non, con quello che ci succede ogni giorno: una volta a casa, a fine giornata, riesumare, ciò che ci è accaduto, riportarlo in vita, ripensarlo, rielaborarlo, sintetizzarlo e farne uscire qualcosa di buono di nostro esclusivo usufrutto.
È la musica che diventa un mezzo e non più un fine e, nel farsi tale, diventando cioè diaristica, diventa un portato riconducibile al suo solo autore: solo lui può averla pensata e concepita, nessun altro può averlo fatto perché, altrimenti, suonerebbe in maniera diversa se non addirittura opposta. Come metodo, questo, è sicuramente non più molto comune in un pianeta dove, purtroppo spesso, ci si imbatte più comunemente nel desiderio di vestirsi con i costumi di qualcun altro, incarnare un genere nel tentativo di farlo diventare proprio; procedendo con andatura insospettabile e senza mai risultare eccessivo o ridondante, Trapcoustic utilizza secoli di ascolti per restituire un tessuto sonoro compatto e unico. Ruba, ritaglia, incolla ma alla fine si potrà dire solamente di aver ascoltato un bel disco che, per stimoli e slanci, non ha niente in comune con quanto si è ascoltato fino al giorno prima.
Tab_Ularasa con Beppe Sordi "Vieni anche tu nel pozzo dei desideri"
È un Ep che ti incolla alle casse senza bisogno di beat techno e pasticche. Funziona per continua stimolazione: idee semplici ma continue che si alternano e si fondono su di una base molto elementare: chitarra acustica, ogni tanto un sax, un po' di elettronica distante e povera. Detta così pare una miseria ma, di misero, qui non c'è davvero niente. Se si avrà il cuore, il cervello e la totale assenza di ingiustificate spocchie, si potrà rilevare tutta la bontà di un reperto che, ridi e scherza, nasconde un sé un vero e proprio scrigno delle meraviglie. Tutto sta nel lasciarsi andare, dimenticarsi di se stessi e lasciar fare Tab_Ularasa e Sordi; farli suonare con la capacità di invenzione che gli è propria e il dono della sintesi che, sicuro, non gli manca. Poche canzoni brevi, non una nota in più né una parola di troppo, tutto perfettamente calibrato e dosato, aggiungere qualsiasi cosa sarebbe un errore o addirittura un orrore.
Il romanzo senza conclusione scritto da Tab_Ularasa, un romanzo fatto di termini semplici e frasi tanto naif quanto, e proprio per questo, lapidarie, ricorda, nel metodo, quello un tempo realizzato da Albino Bernardini, scrittore per l' infanzia: una serie di racconti senza finale dove il lettore poteva aggiungere di suo pugno la conclusione e la morale. Così anche Tab_Ularasa lascia finali, ceselli e rifiniture ad altri personaggi che incrocia lungo il suo cammino, o percorso ferroviario in realtà, rendendo l' intero racconto corale. Tab_Ularasa ci lascia una grammatica, un canovaccio, il suo metodo scheletrico e minimale e lascia a noi l' onere e l' onore di aggiungere quello che ci pare più opportuno per continuare la storia. Ci influenza e ci dirige, ma solo a noi lascia il compito di elaborare, comprendere e mettere a frutto.
Non credo si possa pretendere di più e di meglio da un disco.
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