Chaos Shrine "Shadows of the Invisibile", 2024-EEEE!
Viviamo un' epoca di inquietudine: guerra, epidemie, violenza, cambiamento climatico, intelligenza artificiale e disumanizzazione consequenziale a quanto finora enunciato. L' arte in genere, quindi, che fa? Non risolve e non assolve, semplicemente prende l' epoca e la trasforma in epopea, ne prende i punti salienti a essa stessa necessari per il suo discorso e incanala il tutto: riprende la tensione della guerra, la perniciosità dell' epidemia, l' insostenibilità della violenza, la paura per il cambiamento climatico, le paranoie per l' IA e la meccanica della disumanizzazione e, come in questo caso, ci tira fuori un disco, un bel disco.
Suoni meccanici si abbattono su ritmiche fredde e disumane, quando Techno quando Industrial quando deliziosamente ballabili, e ci regalano un venti minuti di gioia pura: niente è più bello, in pieno tramonto di una civiltà, che danzare sulle proprie macerie.
Attenzione tuttavia: questo non è un inutile esercizio di stile, una prova decadente di Art Pour L' Art, un estrapolare per esibirsi in una mostra di bravura individuale! L' arte assembla per acuire, parodiare ed esasperare la realtà al fine di denunciarne il male e gli aspetti nocivi: questa è una protesta e mai e poi mai un pranzo di gala.
Mi dispero mentre ascolto, e la disperazione mi lima le unghie ad uncini, mi fa scendere canini vampireschi dalle gengive, mi fa piangere lacrime all' uranio impoverito: questo non è un pranzo di gala, è l' invito ad un massacro.
Per quanto Shadows of the Invisibile suoni matematico e glaciale, il tribalismo delle ritmiche ne rivela una natura ferina, una sorta di primitivismo tecnologico: uno studio antropologico sull'essere umano che, dai tempi in cui era allo stadio sapiens sapiens, non si è saputo più evolvere affidando il suo sviluppo alla tecnica fino al punto di farla divenire sovrastruttura. Dipendiamo, in quanto esseri umani, dalla tecnica che ci ha dato la tecnologia, ci ha dato la telecomunicazione, ci ha dato il condividere per esibire e non per amore di scambio e di confronto; eppure siamo noi ad aver pensato per primi alla tecnica e non il contrario: siamo vittime del nostro stesso pensiero per l' ennesima volta (religione, stato, capitale...). È dunque Shadows... un disco pessimista? No, perché attraverso la creatività a mezzo di tecnologia dimostra come siamo noi ad immaginare, inventare, cancellare e disegnare la realtà che ci circonda. A togliere poi ogni dubbio è il sax posto sapientemente sul finale: la famosa luce in fondo al famoso tunnel che in realtà non è il famoso treno ma una sconosciuta, nuova, favolosa utopia da abbracciare e seguire.
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