Tab_Ularasa " Io Non sono Niente" Bubca Records, 2024
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Io non so che cazzi abbia per la testa Luca, AKA Tab_Ularasa, e neanche vorrei chiederglielo, perché so che sono affari suoi ed è giusto che rimangano di suo esclusivo appannaggio, tuttavia so che con questo disco, un piccolo gesto, possa riuscire a salvare magare delle vite (per ora mi accontento del semplice fatto che mi abbia preservato la sanità mentale e fisica in uno dei periodi che, storicamente, è per me tra i più bui dell' anno), per un sentimento di semplice empatia; ed è proprio nella semplicità, nell' essenziale, che il nostro si fa maestro.
Si serve dell' essenziale Tab_Ularasa, e se ne serve, a questo giro, per raccontare il lato di sé più intimo, introspettivo e fragile. Se nel precedente Guardare Sanremo il fulcro dell' intero disco era il viaggio, l' esteriore da sé, il mondo visto attraverso gli occhi di un nomade diseredato, qui il nomade diseredato parla di sé e solo per sé. Una chitarra acustica, una voce sommessa, all' occasione una fisarmonica e dell' elettronica economica, per entrare con tutte e due i piedi in un mondo di solitudine ed incomprensioni.
Parlo a titolo esclusivamente personale, da ascoltatore, ma credo che la disillusione qui risuoni all' infinito, una sconfitta emotiva alla quale la parola scritta non basta ma che ha bisogno di essere cantata e suonata per essere sofferta a pieno. Sensazioni come Paranoia, Ansia, Tristezza qui ricorrono, si rincorrono fra loro, fanno un girotondo che diventa così vorticoso da farsi centrifuga ed aspirare chi ci si accosta: impossibile uscire integri ed immuni da questi venticinque minuti di suono malinconico e distante. L' autore usa, come suo mestiere di sempre è, l' ironia, un linguaggio naif, un certo gusto per il grottesco onde addolcire la pastiglia amara, ma il risultato non cambia, anzi, si acuisce nella lama che incide il primo strato di pelle umana: la maschera che indossiamo ogni giorno per fingerci gioviali e costruire quell' enorme bugia che è il vivere civile; l' appellarsi a linguaggi che son propri della filastrocca, della ninna nanna, dello scioglilingua, parla più di un mondo passato, destinato a non tornare mai più: quell' infanzia senza filtri, dove conoscere era anzi tutto entusiasmarsi e spaventarsi di fronte al tutto. Quell' attimo invincibile che rimane sepolto da qualche parte dentro di noi e riaffiora solo per divenire arte. Una poesia, un racconto o un disco come questo...
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